Gli incidenti stradali mortali, soprattutto nei casi che vedono coinvolti mezzi pesanti, troppo spesso sono dati dalla mancanza della “corretta” distanza di sicurezza tra un mezzo e l’altro.
Il Codice della Strada
L’articolo 149 del Codice della Strada stabilisce che durante la marcia i veicoli devono tenere una distanza di sicurezza adeguata dal mezzo che li precede al fine di evitare incidenti. La colpa, in caso di incidente di tamponamento, è di chi tampona.
Capita però con troppa facilità di essere coinvolti in un tamponamento stradale perché spesso il tempo di arresto è maggiore rispetto a quello stimato.
Le domande, dunque, sorgono spontanee: come mai avvengono così tanti incidenti? Qual è la “corretta” distanza? Ed è davvero sufficiente parlare di semplice “distanza” di sicurezza?
La formula della distanza di sicurezza
Solitamente, infatti, quando si parla di “distanza di sicurezza” si tende ad applicare un mero calcolo matematico della distanza in funzione della velocità: si divide per 10 la velocità e si moltiplica per sé stesso il risultato ottenuto; al risultato vanno sommati i tempi di reazione, lo stato dei pneumatici, le condizioni atmosferiche, e altro ancora).
La variabile umana
Tuttavia, applicando esclusivamente la suddetta formula “matematico-fisica”, sostanzialmente e concettualmente limitata, si commette un grave errore: non si tiene conto di altre variabili, questa volta umane, fondamentali e di grande rilievo sui risultati della sicurezza stradale.
Parliamo quindi di variabili che hanno estrazione dalle scienze comportamentali, dall’antropologia e non solo, ovvero:
- La soggettività percettiva nella valutazione della distanza;
- l’istintiva tendenza alla socialità dell’essere umano;
- I gap sensoriali e i bias cognitivi alla guida;
- l’errato “atteggiamento mentale” di molti conducenti.
Per quanto possiamo cercare di convincerci, una oggettiva valutazione di una distanza di sicurezza non è così semplice, in quanto la personale valutazione sarà determinata da molte altre variabili, siano esse ambientali (come presenza di luce, buio o pioggia, o alterazioni dello stato psico-fisico dati da sostanze, culturali, o anche di più semplici stati emotivi alla guida: se saremo sereni percepiremo distanze più “lunghe” rispetto a quando siamo tesi e con uno stile di guida più “nervoso”, e così via.
Sarebbe quindi forse più corretto, e sicuro, ampliare e correlare la visione applicando un concetto di tempo, il “Tempo di sicurezza”.
“Tempo di sicurezza”: teniamoci del margine
Il tempo, anche per quanto riguarda la sicurezza stradale, ha certamente una minor soggettività di calcolo rispetto alla semplice distanza.
Per questo motivo la dimensione temporale (e sensoriale) è stata già adottata, ad esempio, in tutti i trafori e gallerie delle autostrade d’Europa, anche con l’aiuto visivo di led blu posti a intervalli prefissati tra loro.
Su queste tratte, infatti, la distanza minima imposta è di 150 metri se si viaggia a 70 km/h, distanza che si percorrerebbe in circa 7-8 secondi, ovvero esattamente la distanza tra un led e l’altro.
Come stare sicuri? Basta tenersi ad almeno un led di distanza dal veicolo che ci precede, o a 7/8 secondi. Facile e intuitivo, ma non sufficiente.
Perché ci sono anche altre variabili, o meglio atteggiamenti, legati al tempo e allo spazio che devono essere compresi: come la naturale tendenza al raggruppamento di veicoli anche in assenza di traffico.
Avere fretta non paga: tanti rischi, poco tempo risparmiato
Spesso, infatti, si nota la propensione a non mantenere la distanza di sicurezza perché si pensa che altri veicoli possano, superando in continuazione, farci rallentare e “perdere tempo” durante la marcia.
A tal proposito, è necessario esemplificare e rendersi conto che, se si togliesse gas per 4 secondi, la velocità media verrebbe influenzata per meno di 1 secondo e, di conseguenza, anche se 100 veicoli ci superassero, il tempo totale perso sarebbe di solo un minuto e 40 secondi sull’intera tratta del viaggio.
Un tempo davvero irrilevante rispetto alla sicurezza guadagnata, nostra e altrui.
Da qui la considerazione che, forse, la variabile più significativa nel computo delle mortalità stradali è proprio l’atteggiamento mentale alla guida.
Riconosciamo ora la necessità di cambiare la prospettiva verso un approccio maggiormente olistico e completo sulla Cultura della sicurezza stradale.